089 481820 - Via Cristoforo Capone, 59 Salerno info@caosinforma.it
N. 155 - ottobre 2022
Approfondimenti

POLITICA, CULTURA DELLA GUERRA E VALORE DELLA MODERAZIONE

Le recenti elezioni politiche hanno evidenziato i limiti e i rischi della politica della contrapposizione: un derivato del populismo che trascura il valore della moderazione.
Da non confondersi però con il moderatismo.
Il bipolarismo è da molti ritenuto una speranza decisiva per il buon funzionamento di ogni democrazia matura, tanto da doverlo favorire anche con adeguati accorgimenti legislativi.
Esso, infatti, è il presupposto della democrazia dell’alternanza. Considerato preferibile a meccanismi con un perno centrale e diverse opzioni di alleanze – come è stato nella «prima Repubblica» italiana –, il bipolarismo di scuola anglosassone favorirebbe la contrapposizione tra due fronti, magari i classici «progressisti» e «conservatori», e darebbe trasparenza e chiarezza alla politica, in un confronto che facilmente porta all’alternanza e quindi alla reciproca legittimazione. 

L’importanza del «centro» 

Questo bipolarismo presuppone una comune rincorsa al medesimo centro, la cui scelta per l’uno o per l’altro spesso e volentieri risulterebbe decisiva, come dimostra, nel caso italiano, lo stesso nome dei due schieramenti: centro-destra e centro-sinistra. Il bipolarismo, infatti, marginalizzerebbe le frange estreme di entrambi gli schieramenti politico-culturali. Risulterebbe penalizzante, ad esempio, presentarsi con un programma che propugni l’abolizione della proprietà privata o la chiusura in entrata delle frontiere, fermo restando che potrebbero sfidarsi un programma liberista e uno più attento al ruolo dello Stato o sostenitore degli ammortizzatori sociali. 

L’importanza del centro per entrambi i contendenti è davvero un fattore decisivo nel buon funzionamento di questa democrazia bipolare, nella quale nessuno deve o dovrebbe temere strappi o radicalismi esasperati. Il dato virtuoso sarebbe confermato dal fatto che, se emergessero forze radicali o estreme nei due schieramenti, il centro non le voterebbe, e questo danneggerebbe il campo che puntasse sulla sua ala estrema. In questo modo non si esclude ovviamente la dialettica politica, ma si limitano e rendono compatibili le differenze. 

Il rischio di un bipolarismo populista 

Questo modello forse potrebbe «addormentare» un po’ la democrazia, ma porta con sé anche la possibilità di rompere le incrostazioni che uniscono i partiti e gli apparati dello Stato in occasione dei cambi di maggioranza. Purtroppo, però, è saltato per aria con l’ingresso sulla scena politica del populismo, che può essere di destra o di sinistra, ma è difficilmente conciliabile con il centro, almeno per la nostra esperienza italiana ed europea. 

Il dato caratteristico del populismo è quello di esprimere la «volontà popolare» in modo che si pretende totale. Per essere tale, questa volontà si rappresenta usualmente come «forte» e ostile a nemici esterni (poteri forti, immigrati ecc.). Tutto ciò, però, non corrisponde mai con le idee del popolo, ma con quelle di una parte di esso. Il primo risultato è dunque che il populismo spacca il popolo, non lo unisce, e lo divide, esprimendo una radicalità incompatibile con l’altra radicalità che si opporrà a esso. Ecco che il meccanismo che si genera è quello di un bipolarismo tra opposti estremismi, che si presentano come minacce totali. «Lo scontro degli estremisti è la novità che uccide il confronto della politica, la sua anima, che è il compromesso, e la sua modalità, che è la moderazione» (R. Cristiano, «Il bipolarismo del Papa contro il bipolarismo malato della politica», in Formiche, 11 settembre 2022). 

La caratteristica del nuovo bipolarismo è di puntare sul male minore e non per una  collaborazione, sul dialogo costruttivo fra parti contrapposte.  

Nel meccanismo populista, infatti, l’estremismo dell’uno favorisce anche quello dell’altro, uguale e contrario. La vecchia teoria degli opposti estremismi sembra ripresentarsi, prendendo il controllo della scena politica per l’impossibilità di replicare con un messaggio «moderato» a un messaggio estremista. 

Ricomprendere la «moderazione» 

Se questa situazione corrispondesse realmente a una nuova tendenza di tante democrazie avanzate, ci si dovrebbe interrogare sulla riabilitazione del vocabolo «moderati».

La moderazione è stata associata al centro e a scelte mai coraggiose, innovative, ma frequentemente ritenute pasticciate. La moderazione invece andrebbe ricompresa come rinuncia all’eccesso. L’eccesso polemico e teorico è la sostanza del populismo, che nega un’azione politica per fare, ma la immagina soprattutto per disfare, e i complotti hanno ovviamente un ruolo decisivo nell’immaginario politico populista: disfare le trame dei poteri forti, delle élites e così via. 

La cura di un simile stravolgimento politico, che trasforma ogni proposta in una “cultura della guerra”, passa anche dalla riscoperta del valore e dalla riabilitazione concettuale della necessaria moderazione.

Questa non esclude indignazione,  ma trova nell’essere «per», e non «contro», la propria essenza. È quello di cui ha bisogno la democrazia per ritrovarsi. 

La moderazione è un esercizio di radicalità nel senso che non istiga, non cerca capri espiatori, non vive di indispensabili contrapposizioni. Il sistema dei social, dove ognuno è continuamente chiamato a prendere posizione, schierarsi per o contro qualcosa, contribuisce a far apparire indomabile la democrazia della contrapposizione, nella quale l’avversario deve essere assoluto, totalmente contrapposto. Tutto questo non solo esclude la moderazione di cui si è accennato, ma il dialogo stesso. La democrazia populista non può conoscere nessuna autentica forma di dialogo.