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N. 143 - maggio 2021
Letto per voi

LE PAROLE DI ECONOMIA CIVILE

Il bene comune è una moltiplicazione i cui fattori sono i beni dei singoli individui.

E, senmpre a proposito di identità, non possimo non citare le parole che aiutano a definire la nostra realtà dal punto di vista economico sosciale. Utoilizziamo a tal fine la definizione dei vocaboli economici fornata da Stefano Zamagni , ex presidente dell'Agenzia per il terzo settore , apprezzato in tutto il mondo per i suoi studi in materia di economia sociale e che  dal 27 marzo 2019 è presidente della Pontificia accademia delle scienze social 

Bene Comune

Cosa si nasconde dietro l’espressione bene comune?  Un modo semplice, ma efficace, di afferrare il significato di bene comune è quello di porlo al confronto col concetto di bene totale.

Mentre il bene totale può essere metaforicamente reso con l’immagine di una sommatoria, i cui addendi rappresentano i beni individuali (o dei gruppi sociali di cui è formata la società), il bene comune è piuttosto paragonabile ad una moltiplicazione, i cui fattori rappresentano i beni dei singoli individui (o gruppi).
Immediato è il senso della metafora: in una sommatoria se anche alcuni degli addendi si annullano, la somma totale resta comunque positiva. Anzi, può addirittura accadere che se l’obiettivo è quello di massimizzare il bene totale (ad es. il PIL nazionale) convenga “annullare” il bene (o benessere) di qualcuno a condizione che il guadagno di benessere di qualcuno altro aumenti in misura sufficiente per più che compensarlo.
Non così, invece, con una moltiplicazione: l’annullamento anche di un solo fattore azzera l’intero prodotto.
Detto in altri termini, quella del bene comune è una logica che non ammette 
sostituibilità (ovvero trade off): non si può sacrificare il bene di qualcuno – quale che ne sia la situazione di vita o la configurazione sociale – per migliorare il bene qualcun altro e ciò per la fondamentale ragione che quel qualcuno è pur sempre una persona umana!
Per la logica del bene totale, invece, quel qualcuno è un individuo, cioè un soggetto identificato da una particolare funzione di utilità e le utilità – come si sa – si possono tranquillamente sommare (o confrontare), perché non hanno volto, cioè identità, né storia.

 

Crisi

Due sono i tipi di crisi che, grosso modo, è possibile identificare nella storia delle nostre società: dialettica l’una, entropica l’altra.
Dialettica è la crisi che nasce da un conflitto fondamentale che prende corpo entro una determinata società e che contiene, al proprio interno, i germi o le forze del proprio superamento.
Esempi storici e famosi di 
crisi dialettica sono quelli della rivoluzione americana, della rivoluzione francese, della rivoluzione di ottobre in Russia nel 1917.
Entropica, invece, è la crisi che tende a far collassare il sistema, per implosione, senza modificarlo. Questo tipo di crisi si sviluppa ogniqualvolta la società perde il senso –cioè, letteralmente, la direzione– del proprio incedere.
Anche di 
crisi entropica la storia ci offre esempi notevoli: la caduta dell’impero romano; la transizione dal feudalesimo alla modernità; il crollo del muro di Berlino e dell’impero sovietico.

Perché è importante la distinzione tra crisi dialettica e crisi entropica? Perché sono diverse le strategie di uscita dai due tipi di crisi. Non si esce da una crisi entropica con aggiustamenti di natura tecnica o con provvedimenti solo legislativi e regolamentari – pure necessari – ma affrontando di petto, risolvendola, la questione del senso.
Ecco perché sono indispensabili a tale scopo 
minoranze profetiche che sappiano indicare alla società la nuova direzione verso cui muovere mediante un supplemento di pensiero e soprattutto la testimonianza delle opere. Così è stato quando Benedetto, lanciando il suo celebre “ora et labora”, inaugurò la nuova era, quella delle cattedrali.

economia civile

L’espressione “economia civile” compare per la prima volta nel lessico politico-economico nel 1753, anno in cui l’Università di Napoli istituisce la prima cattedra al mondo di economia, affidandone la titolarità ad Antonio Genovesi, la cui opera fondamentale del 1765 reca per titolo Lezioni di economia civile.
L’economia civile si fonda sulle virtù civiche e sulla natura socievole dell’essere umano, il quale è spinto ad incontrarsi, anche nel mercato, con l’altro.
I pilastri tipici dell’economia civile sono la 
virtù, la socialità e la felicità.
Se l’
economia civile è una proposta di ricerca, una prospettiva sull’oggi, criterio di valutazione delle concrete esperienze economiche, essa è anche una profezia, che sta di fronte all’economia di tutti i giorni come un dover-essere, e che ci ricorda gli obiettivi più alti ai quali la convivenza civile, economia inclusa, può giungere.
In questi secoli, attraversati da mille contraddizioni, l’ideale di una economia finalmente civile ha accompagnato lo sviluppo del pensiero e della prassi economica.
L’economia reale diventa economia civile ogniqualvolta un’impresa, un’organizzazione, un consumatore, una scelta individuale riesce a fare il “salto della gratuità” e suscitare rapporti di reciprocità.

 

Libertà

Tre sono le dimensioni costitutive della libertà: l’autonomia, l’immunità, la capacitazione.
L’
autonomia dice della libertà di scelta: non si è liberi se non si è posti nella condizione di scegliere.
L’
immunità dice, invece, dell’assenza di coercizione da parte di un qualche agente esterno. È, in buona sostanza, la libertà negativa (ovvero la “libertà da”).
La 
capacitazione, (letteralmente: capacità di azione) infine, dice della capacità di scelta, di conseguire cioè gli obiettivi, almeno in parte o in qualche misura, che il soggetto si pone. Non si è liberi se mai (o almeno in parte) si riesce a realizzare il proprio piano di vita.

 

Pensiero Economico

Per gli americani, e dunque per il mondo intero la storia del pensiero economico nasce nel 700 con Adam Smith. Non per colpa loro, ma per colpa di noi italiani, che non abbiamo tradotto i nostri libri.
I libri di Antonino da Firenze, che Schumpeter considera il più grande economista prima di Adam Smith, non sono mai stati tradotti, così come quelli di Bernardino da Siena.
Il risultato è che, parlando con gli studiosi americani, si nota davvero una chiusura, perché per loro la storia del pensiero economico nasce nella prima metà del 700, mentre per noi nasce nell’XI secolo.
Finchè le cose vanno bene, nessuno pensa ai fondamenti. Il fondamento sta sotto terra, non si vede. Tutti vogliono vedere l’edificio. Ma sappiamo che, se il fondamento non è solido, l’edificio collassa.

 

Qualità della Vita

Alla base del nuovo modello di crescita c’è una specifica domanda di qualità della vita.
Ma la domanda di qualità va ben al di là di una mera domanda di beni manifatturieri (o agricoli) “ben fatti”.
È piuttosto una domanda di attenzione, di cura, di servizio, di partecipazione – in buona sostanza, di 
relazionalità.  In altri termini, la qualità cui si fa riferimento non è tanto quella dei prodotti (beni e servizi) oggetto di consumo, quanto piuttosto la qualità delle relazioni umane.
La 
qualità della vita viene misurata sull’asse della libertà, intesa come possibilità di autorealizzazione, mentre l’aumento del reddito pro-capite indica semplicemente una maggiore capacità di spesa da parte della persona.

 

Società Civile

La società civile è quell’insieme di stili di vita, di regole e di istituzioni che fa sì che la natura ambivalente dell’essere umano, la sua “insocievole socievolezza, possa essere orientata al bene comune. L’insieme dei corpi sociali intermedi di cui parla la Costituzione italiana: famiglia, associazionismo, terzo settore.
I corpi intermedi della società civile – come sono indicati all’art.2 della nostra carta costituzionale – sono considerati dagli studiosi di economia politica (a differenza degli studiosi di economia civile) tanto importanti per il progresso culturale e morale del Paese, quanto irrilevanti per il suo successo economico.

La società civile non può essere riduttivamente identificata con l’esistenza di una pluralità di istituzioni capaci di controbilanciare la forza dello Stato.
Ciò è necessario, ma non sufficiente. Nelle nostre realtà odierne, la società civile o trova il modo di esprimersi a livello della sfera delle relazioni economiche, proponendosi come forza autonoma e indipendente, oppure rischia di diventare poco più che una espressione letteraria, una sorta di wishful thinking.

La “nuova” società civile di cui l’Italia ha urgente bisogno per raccogliere la sfida della post-modernità non può non includere una vitale economia civile.
Nei Paesi dove è debole la società civile, i cittadini perseguono e tutelano i propri interessi “proteggendosi” dalle istituzioni (non pago le tasse perché così mi arricchisco più in fretta; pratico il free-riding perché risparmio risorse o energie, e così via);  in quei Paesi dove invece essa è robusta, i cittadini realizzano i propri interessi operando all’interno e per mezzo delle istituzioni.

 

Umanesimo Civile

L’Umanesimo civile fu un particolarissimo, breve, periodo della storia italiana che esercita ancora oggi il suo fascino, e continua a rappresentare un decisivo punto di riferimento culturale, perché fu il risultato di una felice alchimia tra i valori dell’antichità, classica e cristiana, e le nuove esigenze politiche, culturali ed economiche che in quegli anni irrompono sulla scena dell’Occidente.
Oggi sappiamo che non è possibile comprendere la genesi dell’economia civile e più in generale dell’economia politica senza fare i conti con l’Umanesimo civile italiano e la sua civiltà cittadina.
Ripartire idealmente nella ricostruzione della tradizione dell’economia civile dall’Umanesimo significa allora cercare di raccordare l’economia contemporanea con la sua storia millenaria: significa mostrare che la riflessione sull’economico non è un fungo che spunta all’improvviso nella stagione della modernità, ma una nuova fioritura di un albero secolare, che può, ancora, rifiorire.
L’“età dell’oro” dell’Umanesimo civile è senza dubbio la Toscana della prima metà del Quattrocento. I suoi maggiori esponenti e interpreti furono Coluccio Salutati, Poggio Bracciolini, Leonardo Bruni, Léon Battista Alberti e Matteo Palmieri, Antonino da Firenze. È un’età che vede a Firenze una concentrazione straordinaria di artisti, da Brunelleschi, Masaccio e Donatello, Botticelli, Della Robbia, Beato Angelico.