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N. 160 - aprile 2023
A proposito di

LA FANTASIA DI UN'ISOLA DESERTA

Una parte delle nostre élite economiche continua a ballare sul ponte della nave nonostante abbia capito che il transatlantico ha già urtato l’iceberg e sta imbarcando acqua.


Perché? Perché queste élite sono convinte che avranno un accesso privilegiato alla scialuppa di salvataggio; pertanto, si sentono al sicuro e considerano esorbitante il costo finanziario e politico delle riforme che permetterebbero di riparare la nave per evitare che l’avaria finisca in un naufragio. È quella che si può definire la «fantasia di un’isola deserta»: questi ultraricchi sognano un rifugio dove potranno ripararsi dalle conseguenze disastrose della propria noncuranza. In effetti, sono queste stesse élite le principali responsabili della crisi climatica: il 10% più ricco del Pianeta produce da solo più del 40% delle emissioni. Questo genere di isola deserta esiste già: sono le gated communities, che si trovano in America Latina o nei «villaggi» dove si rifugiano gli espatriati delle compagnie estrattive in Africa, protetti da milizie private.

È chiara allora l’importanza di una discussione scientifica sulla possibilità di estinzione dell’umanità? Non esiste una tale isola deserta. Anche se, per un caso straordinario, una comunità di ultraricchi riuscisse a isolarsi in uno dei bunker che alcuni di loro stanno costruendo, la scomparsa di interi strati di popolazione li priverà della maggior parte dei servizi senza i quali non sono in grado di vivere8.

In effetti,  le nostre società si trovano a un bivio in termini di economia politica delle energie non fossili. Ci vengono offerte due opzioni, La prima, invocata dalla maggior parte degli ambientalisti e dei giovani della Economy of Francesco, consiste nel riorganizzare le nostre società per distribuire il più ampiamente possibile le fonti di accesso all’acqua e di produzione di energia rinnovabile e il potere decisionale politico: in sostanza, una democrazia partecipativa strutturata attorno a beni comuni decentralizzati. La Germania nell’ultimo decennio sembrava volersi impegnare in questa direzione, a giudicare dalla proliferazione di cooperative di produzione di energia rinnovabile (eolica e solare) in alcuni Länder. Il decentramento e la condivisione delle risorse energetiche dovevano logicamente essere accompagnati da una condivisione delle decisioni politiche. Da allora, purtroppo, la maggior parte di queste cooperative è stata privatizzata, e la Germania è tornata al carbone: due grandi regressioni che hanno riportato questo Paese al bivio dove si trovano ancora tutti gli altri. La seconda opzione è, per dirla in modo semplice, quella seguita dalla Cina di Xi Jinping e dalla Russia di Putin e verso la quale la Francia cerca di impegnarsi: un’alleanza autoritaria tra la sfera pubblica e un settore privato oligopolistico per favorire una concentrazione molto diseguale delle fonti di produzione energetica e, quindi, delle decisioni politiche. Questa opzione si adatta volentieri alla «soluzione nucleare».

Purtroppo una parte delle nostre élite esita: alcuni si sono schierati a favore della seconda opzione e stanno cercando un modo per imporla ai popoli loro malgrado. Preferiscono perdere anni preziosi nella lotta contro le crisi ecologiche che ci stanno colpendo piuttosto che correre il rischio di perdere potere lasciando che le componenti della società civile – in particolare i giovani – si impegnino troppo rapidamente per l’opzione democratico-decentralizzata.

Il controllo antidemocratico dei media da parte dei loro proprietari in un «mercato dei media» sempre più concentrato è, da questo punto di vista, un pessimo segnale: rende possibili le peggiori manipolazioni collettive, e non esiste solo la propaganda di Pechino e Mosca. Eppure l’autoritarismo burocratico non può dispiegare le risorse di intelligenza di cui abbiamo bisogno per affrontare le sfide di oggi.