N. 189 -
settembre 2025
A proposito di
LA FALSA SOLUZIONE DELLA DETERRENZA
La condizione attuale del nostro mondo sociale è caratterizzata da una drammatica molteplicità di conflitti armati che si svolgono in ogni continente.
Nel 2023 i conflitti armati hanno provocato circa 170 700 vittime in tutto il mondo, con proiezioni che per la fine del 2024 parlano di oltre 230 000 decessi – un aumento superiore al 30 % rispetto all’anno precedente. Oggi si contano 56 conflitti in corso, che coinvolgono 92 Paesi in Africa, Asia, Europa, Medio Oriente e America Latina.
In Ucraina, il conflitto di più alto profilo è ormai al terzo anno e rappresenta la guerra più mortale al mondo. Parallelamente, in Palestina le operazioni militari hanno fatto registrare più di 50 000 vittime dal 2023, con l’80 % di esse costituito da donne e bambini. Altre crisi drammatiche attraversano regioni meno visibili – dal Sahel al Corno d’Africa, dal Myanmar al Venezuela – dove violenze civili, guerre per procura e colpi di Stato mietono continuativamente vittime.
Accanto alle armi convenzionali, incombe la minaccia di una degenerazione nucleare. La centrale di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa, è più volte rimasta al buio, correndo il rischio di fusione dei reattori: bastano pochi giorni senza alimentazione esterna per un disastro simile a Chernobyl, come avverte l’AIEA. Nel contempo, la proliferazione clandestina, il rafforzamento degli arsenali esistenti e il timore di attacchi terroristici atomici mantengono viva la possibilità di uno scontro nucleare.
Paradossalmente, la dottrina della deterrenza – cioè l’equilibrio basato sulla minaccia di rappresaglie atomiche – ha finora frenato un’escalation diretta fra potenze nucleari. Ma si tratta di un freno estremamente precario, fondato su tre condizioni quasi impossibili da mantenere: la certezza che ogni avversario creda nella volontà di usare l’arma, il controllo assoluto degli arsenali in un contesto multipolare e l’assenza di incidenti o falsi allarmi. Non potendo garantire nessuna di queste condizioni, la deterrenza rischia di collassare, innescando una catena di eventi incontrollabile.
I pericoli reali sono molteplici:
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guasti tecnici o malfunzionamenti automatizzati che possono scatenare lanci incontrollati;
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errori di valutazione o interpretazioni errate di segnali d’allarme;
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attori non statali che sfuggono a ogni regime di controllo;
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impatto umanitario e ambientale di un conflitto atomico, con fallout globale e “inverno nucleare” che metterebbero a rischio la sopravvivenza stessa della vita sulla Terra.
Davanti a questi scenari, la deterrenza non può reggere a lungo. Serve invece aprire percorsi alternativi di sicurezza basati su:
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disarmo multilaterale verificato e rafforzamento dei trattati di non proliferazione (TNP, TPNW);
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dialogo interculturale, riconciliazione e costruzione di fiducia tra le comunità coinvolte;
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meccanismi di sicurezza cooperativa, in cui la trasparenza e la partecipazione della società civile riducano i rischi di escalation;
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educazione alla pace e alla cittadinanza globale, per formare fin dall’infanzia competenze emotive, relazionali e civili atte a prevenire la violenza.
Solo una prospettiva fondata sulla cooperazione, la giustizia e la tutela umanitaria potrà sostituire l’illusione di sicurezza fondata sulla paura atomica, tracciando la via verso un futuro di pace sostenibile.