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N. 157 - gennaio 2023
Letto per voi

LA BANALITA' DEL MALE Hannah Arendt

 

LA BANALITA' DEL MALE Hannah Arendt

Data prima pubblicazione: 1963 (in Italia nel 1992) Casa Editrice: Feltrinelli

Hannah Arendt era un’ebrea tedesca di famiglia benestante, allieva di Heidegger (con il quale ebbe anche una tresca) e rifugiata politica a Parigi e poi negli Stati Uniti, dopo la promulgazione delle leggi antiebraiche.

La banalità del male è uno dei suoi libri più potenti: è una raccolta dei reportage che la scrittrice pubblicò sul New Yorker durante il processo ad Adolf Eichmann.

Qui vengono ripresi tanti dei temi già trattati dall’autrice nella sua opera più famosa Le origini del totalitarismo. Uno su tutti la convinzione che il male perpetrato da Eichmann e dagli altri criminali nazisti fosse dovuto a una profonda inconsapevolezza delle loro azioni.

Le domande che si pone la Arendt e le risposte scomode che ne ricava ci pongono davanti un Eichmann tutt’altro che “mostruoso”. Un uomo banale, piccolo (moralmente) e terribilmente normale. Un burocrate come ce n’erano e ce ne sono tanti.

«Il guaio del caso Eichmann era che di uomini come lui ce n’erano tanti e che questi tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano, e sono tuttora, terribilmente normali. Dal punto di vista delle nostre istituzioni giuridiche e dei nostri canoni etici, questa normalità è più spaventosa di tutte le atrocità messe insieme».

La constatazione più sconvolgente è che Eichmann non era uno stupido, ma la sua normalità lo rendeva ingiudicabile a se stesso. La sua incapacità di pensare (il “pensare” socratico, quello che ti fa dialogare con la tua interiorità) lo rendeva privo di ogni giudizio. La sua attività consisteva nell’applicare ed eseguire gli ordini che gli venivano impartiti, senza riflettere e domandarsi sulla loro correttezza.

«La mia opinione è che il male non è mai “radicale”, ma soltanto estremo, e che non possegga né la profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare tutto il mondo perché cresce in superficie come un fungo. Esso sfida come ho detto, il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, andare a radici, ed nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua “banalità”… solo il bene ha profondità e può essere integrale».