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N. 157 - febbraio 2023
Approfondimenti

IL FUTURO VIENE DAL PASSATO

 

Se non si è capaci di pensare un dopo, un domani, qualcosa che deve ancora accadere, allora è impossibile parlare di generazione del futuro. Appare ovvio pensare al passato che è già compiuto, e al presente che si svolge mentre lo pensiamo. E tuttavia per generare futuro – e dunque sperare – è necessario immaginare, proiettarci in un futuro possibile, riflettere su ciò che non vediamo con i nostri occhi né tocchiamo con le nostre mani.

E' necessaria invece un’apertura all’incertezza.   è immersione in una storia che ci arriva, dentro la quale siamo chiamati, senza essere prodotto dei nostri calcoli.

C’è un abisso da superare, dunque, per vivere la speranza e non di un calcolo o dell’algoritmo. In questo senso il futuro non è la combinatoria delle nostre attese e delle nostre aspettative. Sarebbe un abbaglio far risiedere la speranza nella pura proiezione combinatoria dei nostri desideri. La speranza è il non ancora conosciuto, che è capace di sorprenderci, traboccante. Il motore della speranza è, in definitiva, il timore di non ricevere ciò che si attende, dunque il dubbio, l’incertezza, la precarietà inquieta.

L’inquietudine del pensiero aperto: tra utopia e maturità

«Dio è creativo, non è chiuso, e per questo non è mai rigido. Dio non è rigido!», ha detto Francesco in un suo discorso ai catechisti. Così la nostra vita non deve irrigidirsi. L’esistenza umana non è una partitura già scritta, un «libretto d’opera», dice Bergoglio

Da questa visione consegue una visione della maturità che non coincide più con l’adattamento. Il tema è davvero importante per un educatore. Ma, senza cadere nell’elogio dell’anarchia, argomenta: «Se la maturità fosse un puro e semplice adattamento, la finalità del nostro compito educativo consisterebbe nell’“adattare” i ragazzi, queste “creature anarchiche”, alle buone norme della società, di qualunque genere siano. A quale costo? A costo della censura e dell’assoggettamento della soggettività, o peggio ancora a spese della privazione di ciò che è più proprio e sacro della persona: la sua libertà.

Come ci ricorda papa Bergoglio: «Un ragazzo “inquieto” […] è un ragazzo sensibile agli stimoli del mondo e della società, uno che si apre alle crisi a cui va sottoponendolo la vita, uno che si ribella contro i limiti ma, d’altra parte, li reclama e li accetta (non senza dolore), se sono giusti. Un ragazzo non conformista verso i cliché culturali che gli propone la società mondana; un ragazzo che vuole imparare a discutere». Dunque, occorre «leggere» questa inquietudine e valorizzarla, perché tutti i sistemi che cercano di «acquietare» l’uomo sono perniciosi: conducono, in un modo o nell’altro, al «quietismo esistenziale». Nell’inquietudine si genera futuro.

«Disinstallarsi»

 Una forma dell’inquietudine sana è stata definita da Francesco con un verbo usato in un messaggio ai giovani delle Antille: desinstalarse. Alla lettera: «disinstallarsi». 

Tuttavia è importante non solamente il tempo, ma anche il ritmo. Il ritmo non è quello della sinfonia, Questo genere musicale vede confluire tradizioni disparate ed è caratterizzato dall’improvvisazione, come avviene nelle riunioni di musicisti che si ritrovano per una performance senza aver nulla di preordinato, improvvisando su griglie di accordi e temi conosciuti. Queste sono situazioni «geniali», dove la sfida consiste proprio nel dare una forma non preordinata a partire da un caos di suoni.

Il futuro non è mai astratto: non può esserlo. Siamo noi stessi che speriamo! E noi siamo ciò che già siamo stati e siamo. Il futuro ci viene incontro con le forme delle nostre tensioni presenti. Il futuro viene dal passato, così la sua pensabilità. Siamo in grado di desiderare, perché siamo quel che siamo, così come la nostra vita ci ha plasmati. Non nel senso che il futuro prende le forme ormai vuote del passato, ma al contrario: il futuro risucchia in sé il passato. Nel futuro, infatti, possiamo in qualche modo recuperare ciò che è stato, integrandolo, risanandolo. Nel presente la memoria del passato acquisisce un senso imprevisto nella sua direzione.

Quante volte un’esperienza nuova ci fa vedere un’esperienza del passato sotto un’altra luce? Quante volte capita di comprendere ciò che è accaduto nella nostra vita in una prospettiva differente? E quindi di cambiarne il senso e il valore?

Possiamo descrivere il cammino del futuro in riferimento al tempo vissuto. La domanda sarebbe: come rimettere in movimento e cambiare un passato che non c’è più? Come supplire a una mancanza di amore, di educazione, di successo che fin dall’infanzia possono essere stati negati? Come disfare i nostri modi e recuperare il tempo perduto? Come convertire il passato? 

È un problema che emerge con particolare urgenza, ad esempio, nella psicoanalisi: se non fosse così, la verità dell’interpretazione analitica e l’efficacia della psicoanalisi nella sua azione sarebbero irrimediabilmente compromesse. La memoria non va considerata come una trascrizione immutabile. Se il passato determina il presente, è perché a sua volta esso è ripreso e quindi rimodellato dal presente.

È possibile una «conversione» in profondità solamente se il passato non è già determinato e non è sottratto interamente alla possibilità di azione. Il passato deve rimanere aperto. Questa è la «giovinezza». Non una condizione passeggera e transeunte, né una nostalgia da rincorrere goffamente e senza speranza. La giovinezza consiste nel non sigillare il passato, nel lasciarlo aperto alle interpretazioni (e al loro conflitto). Perché? Perché la memoria dell’esperienza vissuta nel passato acquisisce nel presente un senso imprevisto, ma attuale ed efficace, nella direzione di un’attesa di futuro. La religione è anche un re-legere, una rilettura, un ripensamento del vissuto.

Così si può agire sul passato in vista di un futuro. È il filo del desiderio che conduce questa retroazione, che è soprattutto anticipazione di un futuro diverso. Non possiamo lasciare indietro noi stessi come memoria, perché così non lasceremmo indietro solo il nostro passato, ma anche il nostro presente e il nostro futuro. Ciò che verrà modifica continuamente la nostra memoria, addirittura ne seleziona i contenuti.