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N. 154 - settembre 2022
A proposito di

C’ERA UNA VOLTA LA SCUOLA ​​​​​​​Ovvero lo strano rapporto tra la scuola e il disagio

 

La scuola, da sempre, ha puntato a garantire la trasmissione ordinata del sapere in nome dell'idea di un progresso scientifico, se non umano e sociale, che cresceva in parallelo con lo sviluppo di una società speculare a questa idea di progresso.

Ma, a fronte della trasformazione “assiale” della nostra società, del mondo del lavoro, delle relative competenze da esso richieste, della rivoluzione informatica e dei nuovi, interattivi modelli di apprendimento, della globalizzazione del sapere, della emergente cultura multietnica, dei tanti canali di apprendimento extrascolatici che il mercato della comunicazione offre con incomparabile maggior appeal alle nuove generazioni, sorge ineludibile una domanda: la scuola che capacità di attrazione esercita sulle coscienze dei nostri ragazzi?

Insomma, ha senso oggi parlare di scuola, sottintendendo con il termine "scuola" un modello monolitico di produzione e trasmissione culturale che nella realtà non esiste o non funziona più?

Peraltro, la scuola è iscritta nel nostro DNA, nazionale e personale: una sorta di scatola nera dell'apprendimento, che registra e forse spiega ogni fase del viaggio, incidenti compresi. Ad essa, sono collegate esperienze più o meno indimenticabili, scoperte più o meno determinanti, promozioni e sconfitte più o meno incancellabili, nonché stati d'animo, illusioni, decisioni spesso irreversibili.

Sentimenti contrapposti, spesso decisivi per l'indirizzo che ciascuno ha dato alla propria esistenza. Comunque, la scuola rappresenta un pezzo di vita formatasi al di là di ogni retorica, in questa obbligatoria "palestra di vita".

Per non parlare degli insegnanti, molti dei quali sono vissuti sin da studenti, in questo cosmo sociale, e identificano comprensibilmente, ma forse pericolosamente, la vita stessa con la scuola.

Ma la scuola è soprattutto quella che gli insegnanti sanno e vogliono proporre. Non ha senso, quindi, parlare di scuola e di formazione scolastica senza parlare di loro, e quindi dei loro problemi, della loro condizione di operatori, spesso inermi, di trincea, del loro carente riconoscimento sociale ed economico, della loro insufficiente formazione professionale a fronte del sovraccarico di responsabilità che spesso gli si attribuisce.

In gioco c'è una strisciante, pericolosa perdita di senso e utilità sociale, come i tanti casi di burn out professionale sembrano dimostrare.

Comunque, nella scuola si sono formate le generazioni del presente e del passato, avendo essa fornito uno spazio di comunicazione e di modellamento sociale assolutamente prioritario.

Da sempre, ha fornito modelli di comportamento e si è fatta veicolo di trasformazioni sociali significative così come di ostinata conservazione. Ha sempre segnato, talvolta anticipandoli ma più spesso seguendoli, i modelli pedagogici succedutisi nel corso dei decenni.

Così dalla scuola di elite si è passati alla scuola di massa, dalla scuola selettiva, classista, a quella libertaria (a quella del sei politico, per intenderci), dalla scuola pre a quella post sessantottina, attraversando il velleitario sogno di distruggere ogni convenzione "piccolo borghese" in nome di una scuola ribelle, promotrice di un malinteso egualitarismo.

Si è approdati così ad una scuola forse ancora più classista di prima, incapace di garantire prospettive occupazionali ad alcuno, ragazzi volenterosi, sia ricchi che poveri. E ciò ovviamente, a detrimento reale solo di questi ultimi. Così, il diritto allo studio ha favorito la istituzionalizzazione della cultura ma spesso questo processo ha equivalso alla negazione stessa della cultura, facendo prevalere la logica delle direttive ministeriali, dei POF, delle procedure burocratiche, dei “progettifici”, piuttosto che un reale protagonismo delle persone che vivono la scuola per promuovere stili di vita, acquisire valori, apprendere metodi.

Per produrre, e soprattutto testimoniare, una effettiva crescita culturale.

Alla scuola sono state dedicate, da sempre, innumerevoli studi e pubblicazioni, e le aule scolastiche hanno fornito spesso l'ambientazione a sceneggiati televisivi, fiction, film di vario genere, indagini, ricerche e quant'altro.

Spesso la si è descritta, però, in modo stereotipato.

Caosinforma, che dedica questo numero alla scuola, in coincidenza con l’inizio del nuovo anno scolastico, vuole dedicare al tema un’attenzione diversa, ponendo la domanda provocatoria (ma non troppo) “La scuola previene o procura disagio?”.

Spesso si dà infatti per scontato che una delle cause del disagio giovanile sia la dispersione scolastica, cioè l’abbandono prematuro del ciclo di studi obbligatorio. Si trascura di considerare così il disagio di quanti nella scuola rimangono, magari completando il corso degli studi, e non per questo acquisiscono quelle abilità, quelle competenze, quelle risorse che servono a sviluppare una autentica autonomia e quindi una maggiore “competenza di vita”.

La scuola, in altri termini più che prevenire il disagio, rischia talvolta di favorirlo.