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N. 190 - ottobre 2025
Conversando

MIGRAZIONI, PALESTINA E PACE: una geografia della dignità negata

 Palestina: una diaspora che parla al mondo

Nel cuore delle crisi migratorie globali, la condizione palestinese rappresenta una chiave interpretativa potente: non solo come caso storico di esodo forzato, ma come metafora di un’umanità migrante sospesa tra il diritto alla terra e il bisogno di pace. Questo contributo amplia la riflessione avviata in CaosInforma 190, dove l’immigrazione è raccontata attraverso dati, politiche e testimonianze, proponendo ora una lettura affettiva e relazionale del fenomeno.

  • La Nakba come paradigma migratorio: oltre 700.000 palestinesi costretti all’esilio nel 1948, oggi più di 5 milioni vivono da rifugiati. Una diaspora che interroga il concetto stesso di “immigrato” e lo trasforma in resistenza identitaria.

  • Pace e giustizia migratoria: la pace non è solo assenza di guerra, ma accesso a casa, lavoro, cittadinanza. Il diritto alla mobilità diventa parte integrante della dignità umana.

  • Empatia contro la retorica della paura: le rotte migratorie mediterranee portano con sé storie di conflitti, occupazioni e marginalizzazioni. Riconoscere la Palestina significa riconoscere tutte le migrazioni invisibili.

  • Geografie affettive e politiche della cura: ogni migrante porta con sé luoghi perduti e speranze future. È tempo di costruire politiche che trasformino l’esilio in possibilità.

Nel cuore delle crisi globali, la questione palestinese continua a rappresentare una ferita aperta nella coscienza del mondo. Non è solo un conflitto territoriale, ma una storia di esodi, di identità negate, di popoli costretti a reinventarsi altrove. In questo senso, la Palestina è anche una metafora: quella di un’umanità migrante, sospesa tra il diritto alla terra e il bisogno di pace.

Palestina: una diaspora che parla al mondo

La storia del popolo palestinese è segnata da migrazioni forzate, espropri, campi profughi, e una continua ricerca di riconoscimento. Dal 1948, con la Nakba, oltre 700.000 palestinesi furono costretti a lasciare le proprie case. Oggi, più di 5 milioni vivono come rifugiati, distribuiti tra Libano, Siria, Giordania e i territori occupati. La loro condizione interroga il concetto stesso di “immigrato”: non si tratta di mobilità volontaria, ma di sopravvivenza, di resistenza identitaria.

Pace come diritto migrante

La pace, in questo contesto, non è solo assenza di guerra. È accesso alla casa, al lavoro, alla cittadinanza. È possibilità di restare, ma anche di partire senza perdere sé stessi. La condizione palestinese ci ricorda che l’immigrazione non è mai neutra: è il riflesso di equilibri geopolitici, di economie diseguali, di memorie collettive ferite. Parlare di pace significa allora parlare di giustizia migratoria, di politiche che riconoscano il diritto alla mobilità come parte integrante della dignità umana.

Migrazione come ponte, non come minaccia

Nel dibattito europeo sull’immigrazione, la Palestina è spesso dimenticata. Eppure, le rotte migratorie che attraversano il Mediterraneo portano con sé anche le storie di chi fugge da conflitti simili, da occupazioni, da marginalizzazioni sistemiche. Riconoscere il legame tra la questione palestinese e le migrazioni contemporanee significa rifiutare la retorica della paura e costruire una narrazione fondata sull’empatia, sulla memoria e sulla responsabilità.

Per una geografia della cura

In un tempo in cui i confini si irrigidiscono e le identità si polarizzano, CaosInforma sceglie di raccontare l’immigrazione come spazio relazionale. La Palestina ci insegna che ogni migrante porta con sé una geografia affettiva, fatta di luoghi perduti e di speranze future. È tempo di costruire politiche e pratiche che sappiano accogliere queste geografie, trasformando il dolore in progetto, l’esilio in possibilità, il conflitto in dialogo.