N. 145 -
giugno 2021
Approfondimenti
LA TEORIA MIMETICA APPLICATA AL TEATRO Il teatro come luogo di rappresentazione della vita
Da “IL TERZO CERVELLO E L’INTELLIGENZA RELAZIONALE”
Francisco Mele
(SINTESI ARTICOLO PUBBLICATO IN “LA NOTTE STELLATA” , N 1, 2021)
Sul meccanismo mimetico, René Girard trova nel teatro il luogo più interessante per analizzarlo e studiarlo. Il suo libro “Shakespeare – il teatro dell’invidia” è un trattato pratico e teorico che mette a nudo il concetto di mimesi. Il teatro per tanti pensatori era considerato un luogo pericoloso in quanto la potenza della mimesi poteva influenzare lo spettatore sia nel volersi immedesimare con qualcuno dei personaggi oppure capire come la mimesi scopre i meccanismi propri del conflitto umano.
In Italia il regista e maestro Orazio Costa sin dagli anni Quaranta inizia ad applicare la mimesi come strumento, metodo e tecnica per la formazione degli attori. In precedenza abbiamo sostenuto che l’arte anticipa le scoperte scientifiche. In questo senso il maestro Costa indica senza ancora aver teorizzato la via della mimesi come base per l’apprendimento.
Il metodo mimetico di Costa riporta anche la scoperta da parte di Gregory Bateson nei suoi studi sul comportamento animale, in cui due cani capiscono la differenza tra il giocare e il litigare, come se ci fosse l’indicazione “questo è un gioco”. Costa comincia a fare teatro giocando con i fratelli. Il metodo mimetico come metodo di apprendimento coincide anche con la massima di Bateson sull’imparare ad apprendere che si allontana dai metodi di imitazione da parte dell’allievo nei confronti del maestro o dell’attore definito “mattatore”. Nessun allievo di Costa assomiglia nel recitare al suo maestro[6]e neanche ai suoi compagni di corso; ciascuno sviluppa un proprio indirizzo giocando a scoprire e a scoprirsi come un io in continuo rifacimento. Questo metodo di insegnamento integra gli aspetti personali dell’attore e del gruppo che ha una funzione importante nel processo di apprendimento, perché quando, dopo i diversi esercizi, si arriva alla parola ovvero si fanno parlare i personaggi dell’autore, a questo punto i tre cervelli sono interconnessi attraverso il metodo. Che il personaggio sia la battuta mette in risalto la dinamica che si viene a creare tra gli attori che devono uscire da sé stessi per entrare in una dimensione dove ogni azione, verbalizzazione e movimento dipendono dal discorso degli altri personaggi, e anche lui in veste di personaggio influenza l’azione degli altri. In questo contesto nessuno può agire autonomamente. L’interpretazione di un personaggio va oltre il personaggio stesso in quanto ogni attore dà un proprio stile all’interpretazione. In ogni rappresentazione l’attore modifica sé stesso; un terzo elemento interviene, lo spettatore, che non è una figura passiva, ma interloquisce in relazione allo spettacolo attraverso il suo giudizio. L’attore ogni sera recita in modo diverso senza accorgersene, perché il pubblico è diverso e interloquisce in maniera differente.
Il metodo mimetico è un buon esercizio non solo psicologico ma anche sistemico non solo per gli attori ma per chiunque voglia conoscere un modo di essere sé stesso in rapporto agli altri, e quindi a conoscere un meccanismo che appartiene a tutti gli esseri umani.
Questo metodo mimetico io stesso insieme a Maricla Boggio[7]l’ho applicato in una comunità terapeutica per doppia diagnosi nel Torinese[8], permettendo ai partecipanti di sperimentarsi in relazione profonda con gli elementi della natura: il fuoco, l’aria, l’acqua, la terra, come lavoro singolo e di gruppo.
Il lavoro realizzato da Orazio Costa sull’“Amleto”[9]è stato una vera prova rivoluzionaria nella formazione degli attori perché ha messo in luce il rapporto stretto tra il frammento e il tutto, tra l’individuo e il sistema. Ogni attore non solo studiava la sua parte, ma doveva anche interpretare tutti i personaggi del testo shakespeariano. Questa modalità permette a ciascuno di rispondere alla questione relativa a come io mi vedo, come credo che gli altri mi vedano e come in realtà io sono. Poter uscire dal personaggio scelto per interpretare l’altro e a sua volta in coro ogni personaggio è uno sforzo enorme di identificazione e di dis-identificazione. Si tratta quindi, per analogia, di non rimanere cristallizzato in uno dei tanti personaggi che nella vita rappresentiamo secondo i contesti in cui ci muoviamo. Non siamo gli stessi quando si va al lavoro o quando di notte si gira nella movida della città o in discoteca. A volte è difficile riconoscere la stessa persona che al mattino troviamo a servirci al banco del forno dove andiamo a comprare il pane e vederla di notte con gli amici in una piazza affollata. Tanti attori hanno confessato la difficoltà che trovano nel doversi staccare da un personaggio dopo una lunga frequentazione con esso.
L’esercizio costiano utilizzato nelle prove dell’”Amleto”[10]è durato due anni improntati al metodo mimetico e altri due relativi alle scene della tragedia, per poi debuttare al Festival di Taormina.
Uno degli attori ci ha raccontato la tensione di ciascuno di loro perché alla prima nessuno sapeva quale ruolo avrebbe interpretato. A ciascuno degli attori prima di entrare in scena Costa assegnò il personaggio o la situazione corale che avrebbe dovuto sostenere.
L’intuizione del metodo mimetico da parte del maestro Costa coincide con gli studi di René Girard e dei suoi collaboratori come Guy Lefort e Jean-Michel Oughourlian, ma soprattutto può essere spiegata a livello biologico a partire dalla scoperta dei neuroni specchio. Sarebbe interessante anche studiare con le tecniche delle neuro-immagini come si attivano i diversi cervelli negli attori che a turno passano da un personaggio all’altro. In sintesi, l’esercizio permette a ognuno di uscire da sé, guardarsi da un altro punto di vista e tornare a sé. Allo stesso modo fanno gli astronauti quando dall’alto scoprono la terra che tutti noi non riusciamo a vedere pur restando su di essa. Ci sono volute centinaia di anni di ricerca per scoprire che l’oggetto che permette il pensiero – il cervello – si rendesse conto che è prodotto da esso.
LE DECLINAZIONE DELL’ALTRO Il modello, il rivale, l’ostacolo
Oughourlian, seguendo Girard, differenzia il desiderio mimetico che si può posizionare sull’apparire, nel senso di voler copiare il modello preso in considerazione, oppure sull’avere, nel senso di volersi appropriare di quello che il modello ha, e che è una fonte di conflitto.
Invece il posizionarsi sull’essere dell’altro può avere un effetto positivo in quanto si tratta di immedesimarsi in un modello che ti in-segna come imparare ad imparare. Ma voler essere come il modello può costituire una minaccia nel desiderio di sostituirlo e di occupare il suo posto. Il conflitto fra il maestro e l’allievo prediletto può a volte sfociare in una rottura senza riconciliazione. L’altro aspetto del desiderio è quello di osservare e rispondere al desiderio del modello stesso. Il soggetto segue il desiderio del modello con gioia quando gli viene indicata una strada percorribile. Invece il desiderio del modello può diventare un ostacolo per il raggiungimento di tale desiderio, perché il soggetto può entrare in una situazione di opposizione nel seguire quello che il modello gli indica.
Quando il desidero assume l’altro come modello senza che ci sia rivalità, siamo nell’ambito dell’apprendimento e dell’amicizia: situazioni di imitazione-suggestione reciproca e continuativa. Per questo gli amici scelgono e desiderano le stesse cose. Nel processo dell’apprendimento partecipano sia l’allievo sia il maestro. Il termine “cursore mimetico” di Oughourlian è uno strumento utile per segnalare quale delle tre declinazioni dell’altro predomina nella relazione interdividuale.
La relazione mimetica riverbera i suoi effetti sui cervelli corticale e limbico. Come abbiamo segnalato prima, il soggetto prenderà – come scrive Oughourlian – gli abiti dal guardaroba del primo cervello per giustificare le sue azioni con razionalizzazioni economiche, politiche, morali o religiose. Invece dal guardaroba del secondo cervello – prosegue a scrivere l’autore – il soggetto indosserà i vestiti che hanno a che vedere con le emozioni, con i sentimenti e con gli stati d’animo.
La teoria mimetica è un contributo notevole per comprendere l’intelligenza collettiva che nella maggior parte dei casi riesce ad annullare quella individuale per imporsi senza possibilità di replica e di contestazione da parte dell’individuo. Lo studio sulla psicologia delle folle ha in Gustave Le Bon uno dei suoi più importanti autori; ma anche gli apporti di Freud, Erich Fromm e Hanna Arendt sono stati illuminanti per comprendere la nascita dei regimi totalitari. Non a caso Le Bon, ammiratore di Freud, paradossalmente diventa uno degli autori prediletti di Mussolini che, avendo compreso il meccanismo dell’induzione mimetica, riesce a governare le masse e a indicare loro il proprio desiderio.
Il terzo cervello è la piattaforma ideale di tutti gli scambi mimetici generata dal sistema specchio e costituita da migliaia di imitazioni e suggestioni che circolano continuamente dal cervello A e dal cervello B che a loro volta vivono in un continuo interscambio con altri cervelli, si rapportano a tante entità materiali e culturali in modo tale che, come sostiene l’autore, ciascuno di noi è un patchwork nel quale è scritto e segnato tutto il processo delle inter-influenze vissute. Il sistema specchio fa del terzo cervello una macchina di imitazione.
