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N. 176 - settembre 2024
Approfondimenti

IL LEGAME CON IL FENOMENO HIKIKOMORI

A questo proposito è da ricordare una particolare sindrome collegata all"otaku" o agli “hikikomori”, che si fa risalire già a qualche decennio fa e diffusa in Giappone. Nel Paese del Sol Levante queste espressioni indicano la filosofia di vita di adolescenti che vivono chiusi in casa per dedicarsi in modo esclusivo alle proprie passioni per i manga, per i videogiochi, ecc.
Si tratta di giovanissimi asociali ed individualisti, incapaci di relazionarsi con gli altri se non attraverso la tastiera del computer, con comportamenti patologici e vite virtuali. Questi individui affrontano solitudine ed esclusione, evidenziando la necessità di azioni di aiuto per evitare che diventino vittime di reati.
"Hikikomori" è un termine giapponese che significa letteralmente "stare in disparte" e viene utilizzato in gergo per riferirsi a chi decide di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi (da alcuni mesi fino a diversi anni), rinchiudendosi nella propria abitazione, senza aver nessun tipo di contatto diretto con il mondo esterno, talvolta nemmeno con i propri genitori.
È un fenomeno che riguarda soprattutto i giovani dai 14 ai 30 anni, principalmente maschi (tra il 70% e il 90%), anche se il numero delle ragazze isolate potrebbe essere sottostimato dai sondaggi effettuati finora. 
Le indagini ufficiali condotte finora dal governo giapponese hanno identificato circa 1.5 milioni di casi, con una grandissima incidenza anche nella fascia di popolazione over40. Questo perché, sebbene l'hikikomori insorga principalmente durante l'adolescenza, esso tende a cronicizzarsi con molta facilità e può dunque durare potenzialmente tutta la vita.
Anche in Italia l'attenzione nei confronti del fenomeno sta aumentando. L'hikikomori, infatti, sembra non essere una sindrome culturale esclusivamente giapponese, come si riteneva all'inizio, ma un disagio adattivo sociale che riguarda tutti i paesi economicamente sviluppati del mondo. In Italia i dati ufficiali si concentrano esclusivamente sulla fascia studentesca e stimano tra i 50mila e i 70mila casi, mentre non esistono ancora studi quantitativi sull'intera popolazione.
Il fenomeno invita a riflettere sui meccanismi delle dipendenze senza droghe, sottolineando la necessità di uno studio multidisciplinare.