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N. 151 - febbraio 2022
Conversando

IL GRUPPO NASCOSTO

 

Ciascuno di noi passa molta parte della sua vita come membro di gruppi e di organizzazioni, lavorando e interagendo con gli altri. Questa esperienza può risultare estremamente piacevole e ripagante ma talvolta anche altamente frustrante e dolorosa: può favorire o spegnere la creatività, può promuovere la collaborazione o originare conflitti.

 

Le relazioni che gli individui instaurano tra loro e con l'organizzazione di cui fanno parte sono in gran parte regolate dal compito primario di quest'ultima, cioè dalle finalità razionali ed esplicite per cui essa è stata creata, ma il loro destino dipende significativamente dalle emozioni in gioco e da processi che si svolgono nelle "zone d'ombra" dell'organizzazione, processi che sono in larga misura informali, inconsci ed irrazionali.

Gli assunti di base possono essere utili al perseguimento del compito del gruppo in un determinato momento della sua storia, mentre in altre circostanze o in seguito al mutamento del compito potrebbero rivelarsi gravemente disfunzionali.

Siamo abituati a pensare che tutte le organizzazioni sociali, quelle rivolte ai bisogni della persona come quelle rivolte alla produzione di beni, siano state create e vengano gestite sulla base di pianificazioni, strategie e politiche razionali, a partire da concezioni teoriche fondate e da pratiche manageriali sperimentate e verificabili.

Nella maggior parte dei casi le cose stanno effettivamente così.

L'esperienza dimostra però che in certe situazioni, nonostante la razionalità del progetto originario, l'adeguatezza delle risorse investite e l'acquisizione di un'ampia autorità e di una sufficiente base di consenso, qualcosa va storto e la macchina organizzativa inopinatamente si inceppa: succede allora che buone politiche non funzionino come dovrebbero, che procedure chiarissime vengano applicate in modo errato o confuso, che innovazioni necessarie e concordate incontrino resistenze impreviste, che regole e disposizioni ragionevoli vengano disattese, a volte dalle persone stesse che le avevano dettate.

Le tradizionali teorie dell'organizzazione si rivelano di solito poco attrezzate di fronte a fenomeni che appaiono loro inspiegabili o largamente irrazionali e finiscono col ricorrere all'ipotesi di un "errore" gestionale non ancora riconoscibile o con l'invocare un generico e imponderabile "fattore umano".

Le pratiche organizzative correnti poi si dimostrano anche più spicce: individuato un ostacolo e un responsabile per lo più si limitano a rimuoverli, contando sulla relativa facilità di sostituire le persone e cambiare le procedure, e stimando - non senza qualche ragione - che reclutare nuovi manager costi meno che "revisionare" quelli vecchi.

In questo modo però l'incidente o la difficoltà verranno probabilmente archiviati senza generare alcuna esperienza e lasciando intatte le radici principali del problema, che prima o poi sarà destinato a ripresentarsi.

In realtà sono le soluzioni più rapide ed indolori ad essere privilegiate, il taglio del nodo anziché lo sforzo di scioglierlo, con costi umani non irrilevanti ma soprattutto a spese dell'opportunità di apprendere dagli errori.

Vale pertanto la pena acquisire la consapevolezza del modello organizzativo che si sta più o meno consapevolmente utilizzando e quello che invece va utilizzato per contribuire al superamento delle inevitabili resistenze al cambiamento  di un gruppo di lavoro, di un’organizzazione, di una impresa sociale.

E questo numero di caosinforma è proprio dedicato ad approfondire il tema e consentire una più ampia condivisione delle problematiche e degli sforzi necessari per favorire un efficace lavoro di squadra.