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N. 171 - marzo 2024
A proposito di

UN PO’ DI STORIA … PER CAPIRE LE RAGIONI DELLA GUERRA  ISRAELO.- PALESTINESE

Israele e Palestina: una storia di conflittoscontri e instabilità. Le radici affondano nel movimento sionista, nato alla fine del XIX secolo come risposta all’antisemitismo in Europa. Il sionismo sosteneva la creazione di uno Stato ebraico, favorendo l’immigrazione di ebrei europei in Palestina. Gli arabi vedevano gli ebrei come colonialisti europei che rivendicavano la loro patria. Queste complesse ragioni storiche continuano a influenzare il conflitto tra Israele e Palestina .

La Ripartizione della Palestina nel 1947

Settantacinque anni fa, nel 1947, le Nazioni Unite approvarono la Risoluzione 181, che propose la divisione della Palestina in due Stati: uno ebraico e uno arabo-palestinese. Secondo questo piano, Gerusalemme e i suoi dintorni sarebbero stati controllati dalle Nazioni Unite come un corpo separato  per 10 anni, soggetto a futuri negoziati.

All’epoca, la popolazione della Palestina era di circa 1.845.000 residenti, con il 67% di arabi e il 33% di ebrei. La maggior parte degli ebrei era emigrata in Palestina dall’Europa nei trent’anni precedenti il 1947. I confini proposti assegnavano il 61% del territorio alla Palestina ebraica e il restante 35% agli arabi.

Tuttavia, il piano non fu accettato da tutti e portò alla guerra arabo-israeliana del 1948. Oggi, la ripartizione rimane un argomento controverso e complesso nel conflitto tra Israele e Palestina.

Ecco i punti chiave della ripartizione:

  • Agenzia ebraica: L’organo di governo degli ebrei in Palestina votò a favore della decisione di creare uno Stato per gli ebrei.
  • Sionismo politico: L’ideologia del moderno nazionalismo ebraico sostenne la creazione di uno Stato ebraico in Palestina, considerandola un atto di giustizia per gli ebrei che avevano sofferto in Europa.
  • Supremo comitato arabo: La leadership arabo-palestinese respinse la ripartizione e chiese che il territorio fosse sotto il dominio arabo.
  • Principio dell’autodeterminazione: Il nazionalismo arabo lottò per liberare la Palestina dal dominio coloniale britannico e dalla migrazione sionista, sostenendo il diritto all’autodeterminazione delle popolazioni indigene.

In breve, gli ebrei vedevano la creazione di uno Stato in Palestina come giustizia per le loro sofferenze, mentre gli arabi consideravano gli ebrei come colonialisti europei che rivendicavano la loro patria.

Il Sionismo e la Palestina

Il sionismo, formalizzato politicamente come organizzazione mondiale nel 1897 a Basilea, vedeva nel “ritorno” a Sion l’unica soluzione possibile alla difficile situazione degli ebrei in Europa, sempre più vittime designate dei movimenti nazionalisti etnocentrici europei.

Il primo ministro britannico Balfour e il suo primo ministro David Lloyd George erano in grande sintonia con questa idea.

I sionisti in Gran Bretagna, in particolare il fisico ebreo russo Chaim Weizmann (poi primo presidente dello Stato di Israele), avevano corteggiato i politici britannici affinché sostenessero il sionismo, indicando una presenza ebraica in Palestina come il migliore interesse della Gran Bretagna.

Da parte loro, Balfour e Lloyd George non solo erano motivati dall’interesse nazionale britannico, ma provavano anche solidarietà con la difficile condizione degli ebrei nell’Impero russo, esposti a sporadiche violenze e all’espulsione. Inoltre, come cristiani che si ispiravano alla Bibbia, sposavano l’idea che la Palestina fosse la patria promessa da Dio agli ebrei: convinzione, questa, che caratterizza il sionismo cristiano, fondato sul fondamentalismo biblico, ampiamente diffuso nel mondo anglosassone.

Questo misto di interesse imperiale, nobile sollecitudine umanitaria e fervore religioso riferito alla Bibbia fece da potente sfondo nel sostegno accordato al sionismo.

Ecco i punti riguardanti i cambiamenti nel trattamento e nella percezione degli ebrei nel corso dei secoli:

  • Antigiudaismo e Antisemitismo:

Nel XIX secolo, l’antigiudaismo si trasformò in antisemitismo, spinto dalle nuove teorie del nazionalismo etnocentrico.

  • L’antisemitismo:

non era più basato su motivi teologici, ma sulla retorica nazionalista che considerava gli ebrei come stranieri, traditori e incapaci di integrarsi.

  • Genocidio e Discriminazione:

Durante la prima metà del XX secolo, milioni di ebrei furono assassinati e molti altri furono soggetti a discriminazione e persecuzione.

Questi eventi hanno segnato profondamente la storia e la percezione degli ebrei nel corso dei secoli.

  • La Palestina sotto il governo britannico e la complessità della situazione territoriale

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Ecco i punti chiave riguardanti il periodo di governo britannico della Palestina e la complessità della situazione territoriale:

Terra Senza Popolo?:

Nel XIX secolo, un politico cristiano sionista britannico, Lord Shaftesbury, aveva descritto la Palestina come “una terra senza popolo per un popolo senza terra”.

Tuttavia, gli inglesi scoprirono che la Palestina era abitata da una vivace popolazione arabo-palestinese di musulmani, cristiani e alcuni ebrei arabi palestinesi.

Diritti Civili e Religiosi:

Nel 1917, Lord Edwin Montagu, un oppositore del sionismo, insistette affinché la lettera di Balfour includesse una dichiarazione che rispettasse i diritti civili e religiosi delle comunità non ebree presenti in Palestina.

La tensione tra l’appello a stabilire un “focolare nazionale” ebraico e il rispetto dei diritti della popolazione “non ebrea” portò a una feroce guerra civile tra ebrei sionisti, arabi palestinesi e le forze britanniche.

Ripartizione Respinta:

Non sorprende che i palestinesi abbiano respinto il piano di ripartizione, data la complessità delle questioni territoriali e dei diritti civili e religiosi.

In quel periodo, i movimenti di liberazione in Asia e Africa stavano lottando per l’autodeterminazione e la liberazione dalle potenze coloniali. Gli arabi residenti in Palestina vedevano sia gli inglesi sia gli ebrei immigrati come colonizzatori europei. Tuttavia, la ripartizione sembrava un compromesso ragionevole: gli ebrei tornavano nella loro antica patria, mentre gli arabi palestinesi si consideravano gli indigeni. La Santa Sede appoggiò il piano di ripartizione, soprattutto perché Gerusalemme sarebbe stata un’entità separata, non sotto la giurisdizione di nessuno dei due Stati. Ma quali furono le conseguenze di questa ripartizione?

Nonostante il piano di ripartizione sia stato alla base della visione internazionale riguardo a Israele-Palestina per gli ultimi 75 anni, non è mai stato completamente attuato e la situazione rimane complessa e controversa.

La Shoah, la Nakba e la Soluzione dei Due Stati

La Shoah, nota anche come Olocausto, fu l’orribile sterminio degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale. L’antisemitismo raggiunse livelli satanici, con l’industria del genocidio che operò in modo spaventoso. La Shoah ebbe conseguenze devastanti per gli ebrei, ma influenzò anche la storia dei palestinesi.

D’altra parte, la Nakba, che significa “catastrofe” in arabo, si riferisce all’esodo forzato di circa 700.000 arabi palestinesi dai territori occupati da Israele durante la guerra arabo-israeliana del 1948. La fondazione dello Stato di Israele portò alla tragedia dell’esodo per i palestinesi. La comunità internazionale cerca di bilanciare questi due momenti fondamentali, ma la questione rimane complessa.

La soluzione dei due Stati è stata a lungo considerata un passo verso la pace. Tuttavia, a 75 anni dalla decisione di ripartire la Palestina, sorgono dubbi sulla sua fattibilità. Nel 2012, l’accettazione della Palestina come Stato osservatore all’ONU sembrava un progresso. Papa Benedetto XVI e Papa Francesco hanno entrambi sostenuto questa prospettiva. Tuttavia, sondaggi recenti mostrano che la maggior parte degli israeliani e dei palestinesi non è più favorevole alla soluzione dei due Stati. Nonostante ciò, la comunità internazionale continua a cercare una via per la pace in questa regione complessa.

 

Il Conflitto tra Israele e Palestina: Apartheid e Nuovo Vocabolario

Negli ultimi anni, il dibattito riguardante il conflitto tra Israele e Palestina sta gradualmente spostando l’attenzione verso un nuovo vocabolario politico-diplomatico. In particolare, la parola “uguaglianza” sta guadagnando maggiore rilevanza. A partire dal 2004, alcuni hanno sostenuto che il termine appropriato per descrivere la situazione attuale sia “apartheid”. Questa discussione suscita forti emozioni e genera un vivace dibattito da entrambe le parti.

Nell’Assemblea generale del Consiglio ecumenico delle Chiese, tenutasi a Karlsruhe, in Germania, nel settembre 2022, è stata emessa una dichiarazione in merito: “Di recente, numerose organizzazioni e organismi legali internazionali, sia israeliani che palestinesi, hanno pubblicato studi e rapporti che descrivono le politiche e le azioni di Israele come ‘apartheid’ ai sensi del diritto internazionale. All’interno di questa Assemblea, alcune Chiese e delegati sostengono fortemente l’utilizzo di questo termine per descrivere adeguatamente la realtà del popolo in Palestina/Israele e la sua posizione secondo il diritto internazionale, mentre altri lo ritengono inappropriato, inutile e doloroso. Non siamo unanimi su questo argomento e dobbiamo continuare a confrontarci su questa questione mentre lavoriamo insieme per la giustizia e la pace” .

Il politologo dell’Università di Princeton, Michael Walzer, condivide l’opinione di Judt riguardo alla liberazione del mondo dagli Stati-nazione.

Negli ultimi anni, il dibattito riguardante il conflitto tra Israele e Palestina sta gradualmente spostando l’attenzione verso un nuovo vocabolario politico-diplomatico. In particolare, la parola “uguaglianza” sta guadagnando maggiore rilevanza. A partire dal 2004, alcuni hanno sostenuto che il termine appropriato per descrivere la situazione attuale sia “apartheid”. Questa discussione suscita forti emozioni e genera un vivace dibattito da entrambe le parti.

Nell’Assemblea generale del Consiglio ecumenico delle Chiese, tenutasi a Karlsruhe, in Germania, nel settembre 2022, è stata emessa una dichiarazione in merito: “Di recente, numerose organizzazioni e organismi legali internazionali, sia israeliani che palestinesi, hanno pubblicato studi e rapporti che descrivono le politiche e le azioni di Israele come ‘apartheid’.

La tesi monostatuale, proposta da alcuni studiosi, ha poche possibilità di successo secondo la maggior parte degli osservatori politici e degli esperti del Medio Oriente. I presupposti su cui si basa (uno Stato democratico con diritti delle persone e laicità) non sono accettati dalle componenti più intransigenti di entrambe le parti. Tuttavia, il problema israeliano-palestinese merita un’analisi pratica delle soluzioni possibili.

Secondo lo storico israeliano Benny Morris, la soluzione bistatuale è l’unica praticabile. Tuttavia, definire i dettagli di questa opzione è complesso. La proposta di spartizione della Palestina storica, assegnando il 79% del territorio agli ebrei e il 21% agli arabi palestinesi, potrebbe causare delusione e ingiustizia tra gli arabi. Un futuro Stato palestinese, che includa Cisgiordania, Striscia di Gaza e forse parte di Gerusalemme, sarebbe solo un abbozzo di Stato e avrebbe limitate capacità di funzionamento.

L’accordo bistatuale proposto ai palestinesi nel 2000 da Barak e Clinton sembra improbabile da riproporre e funzionare. Tuttavia, secondo lo storico israeliano Zeev Sternhell, l’idea di uno Stato binazionale rimane la base morale e politica per una soluzione equa e una possibilità di pace per entrambi i popoli. L’ipotesi di un unico Stato porterebbe a conflitti sanguinosi. Due Paesi fianco a fianco, con uguali diritti, sono la strada giusta.

Una possibile soluzione potrebbe essere una confederazione di Stati mediorientali, coinvolgendo Israele, Cisgiordania, Striscia di Gaza e Giordania. Questo avvicinerebbe gradualmente il popolo palestinese a quello giordano e potrebbe ridefinire l’area politicamente. Tuttavia, questo progetto presenta sfide.

Considerando tutto questo, è improbabile che un accordo bistatuale basato sul modello proposto ai palestinesi nel 2000 da Barak e Clinton abbia la minima possibilità di funzionare, anche se un accordo simile fosse riproposto per necessità. Tuttavia, l’idea di una soluzione bistatuale rimane l’unica base morale e politica solida che potrebbe offrire un po’ di giustizia e una possibilità di pace per entrambi i popoli. Secondo lo storico israeliano Zeev Sternhell, l’ipotesi di un unico Stato non solo porterebbe all’eliminazione dello Stato ebraico, ma aprirebbe la strada a conflitti sanguinosi per generazioni. La strada giusta e necessaria, quindi, sarebbe quella di due Paesi fianco a fianco, fondati su uguali diritti per entrambi i popoli. Ogni altra scelta condurrebbe o al colonialismo o all’eliminazione di Israele in uno Stato binazionale.

Tuttavia, l’attuazione di questo principio diventa sempre più ardua con il passare del tempo, considerate le contingenze del momento.

Una possibile via per una soluzione bistatuale, che potrebbe ipoteticamente raccogliere un vasto appoggio tra l’opinione pubblica araba, sarebbe la costituzione di una “confederazione di Stati mediorientali”, meglio se ristretta ai soli Paesi interessati. In questa confederazione entrerebbero Israele, la Cisgiordania, la Striscia di Gaza e la Giordania. Naturalmente, questa soluzione condurrebbe a un graduale ma inevitabile avvicinamento tra il popolo palestinese e quello giordano, ponendo le basi per una futura ridefinizione dell’area anche in termini politico-statuali. Secondo Morris, una confederazione di questo tipo risolverebbe molti problemi attuali: risolverebbe la probabile incapacità di funzionare dello Stato palestinese formato dalla Cisgiordania e dalla Striscia di Gaza, nonché i problemi di una Giordania che attualmente non ha sbocchi sul Mediterraneo e la cui popolazione, come detto, è in gran parte palestinese.

D’altro canto, va notato che tale progetto non è privo di sfide e complessità.

In sintesi, il progetto di una soluzione bistatuale per il conflitto israeliano-palestinese non è nuovo e ha ricevuto proposte da leader sia sionisti che palestinesi sin dagli anni Trenta. Tuttavia, questa soluzione, sebbene sostenuta da alcuni intellettuali israeliani, viene fortemente respinta dai fondamentalisti islamici (come Hamas) che controllano la Striscia di Gaza e hanno un forte consenso tra la popolazione palestinese. Questi gruppi sono determinati a preservare l’integrità del territorio storico della Palestina e non sono disposti a condividere questo territorio con gli israeliani. Nonostante gli sforzi della diplomazia internazionale, il conflitto appare ancora più complesso e intricato rispetto al passato. Tuttavia, sia i palestinesi che gli israeliani, con il sostegno della comunità internazionale, continuano a cercare una via per le trattative di pace, consapevoli delle sfide che li attendono.