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N. 147 - settembre 2021
La Parola della Domenica

ALLE RADICI DEL CENTRO

 

Riportiamo di seguito una sintesi delle riflessioni  di Don Nicola, proposta nel mese di marzo 2020,  a proposito del rischio che anche la Chiesa sia interpretata come una struttura rigida e non come una comunità, fatta di persone.

 

“In effetti, nel nostro percorso, siamo passati dalla riflessione sul significato  del deserto a quello della maschera per continuare oggi attraverso il paradosso della croce.

Nelle letture di oggi, siamo passati dal racconto della istituzione dei dieci comandamenti, da intendere  come un invito ad essere più veri nel rispetto di se stessi e degli altri.

Un invito che trova compimento nel  sacrificio di Cristo, ovvero nella proposta di Amore, per cui acquistano senso tutti comandamenti.

Il percorso che prende il via dal racconto di Gesù nel deserto  rappresenta, in fondo,  il deserto che abbiamo nel nostro animo, o meglio l’esperienza del deserto che facciamo  spesso nel nostro animo. Ma è anche un’esperienza molto importante così come molto importante è l’azione di Cristo che ha buttato giù le sovrastrutture. Senza dire nulla ma con gesti forti e concreti, toglie  tutto ciò che appesantisce  l’uomo.

Difatti, il tempio, ridotto a luogo di mercanteggiamento,  dimostra di essere un luogo di chiusura e di confusione ma tutt’altro che di incontro con la comunità.

L’Evangelista San Giovanni riporta l’episodio all’inizio del suo Vangelo, ma in realtà esso è accaduto alla fine e lo fa proprio, ci fa notare don Nicola,   per sottolineare il percorso necessario per arrivare a questo obiettivo.

Don Nicola ci suggerisce inoltre di soffermarci sulla profezia di Cristo:, quando afferma: ”distruggerò questo tempio e lo farò risorgere in tre giorni”.

Il tutto si gioca tra questi due opposti: “distruggere” e “costruire”. Tra questi due estremi, si interpone la tentazione, ma forse la convinzione dell’essere umano  di dover necessariamente utilizzare maschere, che coprano, nascondendolo, il nostro vero volto.

Cristo ci invita, invece, a costruire la nostra vita, scoprendone il volto.

In effetti, ogni struttura, personale e sociale, fisica e mentale, è soggetta all’irrigidimento e non fa eccezione la stessa struttura ecclesiastica.  Esse sono destinate a sgretolarsi, però, quando sono costrette  a fare i conti con la realtà.

Allora, tutti i templi sono destinati a crollare.

Anche  come persone e come  Centro La Tenda siamo dentro questa storia.

E anche noi saremo, inesorabilmente, prima o poi fisicamente distrutti.

Ma quello che è importante è guardare e guidare il processo, riconoscerne le radici profonde.

In realtà proprio perché ci siamo troppo strutturati dentro non riusciamo a riconoscere  e a  di gestirlo.

Il rischio è di diventare noi stessi struttura.

Ma il momento del “crollo strutturale” non deve spaventarci. Infatti è proprio allora  che possiamo cogliere più che altrove il vitale paradosso della proposta  evangelica”: morire a noi stessi per nascere veramente. 

Lo zero,  ovvero il momento della destrutturazione  ha a che fare, infatti, con la possibilità di riconoscerci veramente e di far emergere la nostra vera forza.

Se ci chiudiamo nelle nostre strutture (fisiche e mentali), ci dice più chiaramente don Nicola, rischiamo di non avere futuro.

I valori della nostra storia, quelli che contano, sono veramente significativi, nella misura in cui non coincidono banalmente,  con  le sedi operative nelle quali ci rinchiudiamo e talvolta ci identifichiamo.

In realtà, ad essere significativi e identitarie sono le nostre radici valoriali, il nostro processo.

Prima e al di là delle nostre  strutture, c’è infatti il significato profondo delle radici e quando queste sono negate, siamo già morti.

Questa riflessione, tiene a precisare don Nicola, non è ovviamente, un invito alla rinuncia, al pessimismo. Ma è un invito a prendere consapevolezza di non poter fermare un  processo che prescinde dalle nostre intenzioni e dalla nostra ostinazione a conservare lo status quo.

La Tenda, infatti, è nata per dare vita e speranza alle persone più fragili e deboli. Se non si riconoscono  le radici valoriali, che implicano il cambiamento come motore vitale,  ci ingabbiamo. e diventiamo templi, sinagoghe, inutili monumenti.

Non siamo più capaci di accogliere il cambiamento e le sempre nuove richieste di aiuto.

E per ricordarcelo, abbiamo, in realtà, bisogno di togliere, di liberarci.

È necessario  per muoverci più speditamente verso l’altro, farci interrogare, stare tra la gente e cogliere le necessità e le domande che nascono dal disagio, oggi. 

In effetti,  anche le strutture operative, quando non sono animate da radici profonde denunciano stanchezza e trascuratezza. 

Dobbiamo imparare a prenderci cura e a ristrutturare continuamente la nostra vita, il nostro processo.